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martedì 15 agosto 2006

Snow e la globalizzazione

Charles P. Snow: "Le due culture", Marsilio, 2005, p. 54:

"La tecnologia è piuttosto facile. O più esattamente, la tecnologia è quella branca dell'esperienza umana che la gente può imparare con risultati prevedibili. Per molto tempo, l'Occidente si fece un giudizio errato di ciò, e fu un gran male. [...].
In un modo o nell'altro, abbiamo fatto credere a noi stessi che l'intera tecnologia fosse un'arte più o meno incomunicabile. E' vero che partiamo con un certo vantaggio. Non tanto per la tradizione, penso, quanto piuttosto perché tutti i nostri ragazzi giocano con giocattoli meccanici. Essi afferrano alcuni elementi della scienza applicata prima ancora di essere in grado di leggere. [...].
La cosa curiosa è che nulla di tutto ciò sembra essere molto importante. Per il compito di realizzare l'industrializzazione totale di un grande paese, come la Cina oggi, ci vuole soltanto la volontà di preparare un numero sufficiente di scienziati, di ingegneri e di tecnici. Volontà, e soltanto pochi anni. Non vi sono prove che una nazione o una razza sia più brava delle altre nel dare un insegnamento scientifico: molte cose provano invece che si rassomigliano tutte. La tradizione e l'ambiente tecnico, a quanto pare, contano straordinariamente poco. [...].
Non si scappa. E' tecnicamente possibile realizzare la rivoluzione scientifica in India, in Africa, nell'Asia sud-orientale, nell'America Latina, nel Medio Oriente, entro cinquant'anni. Non vi sono attenuanti per l'uomo occidentale se non vuole rendersene conto, e se non si rende conto che questa è l'unica via per sfuggire alle tre minacce che incombono sul nostro cammino: la guerra nucleare, il sovrappopolamento, le distanze tra ricchi e poveri. Questa è una delle situazioni nelle quali il crimine peggiore è l'ingenuità.
Dal momento che le distanze tra ricchi e poveri possono essere superate, lo saranno.".

Enunciate in una conferenza a Cambridge nel 1959, sembrano profezie. Lo scrittore inglese aveva trattato in modo piuttosto superficiale il tema della conferenza che lo rese poi famoso - le due culture, appunto, sull'incomunicabilità tra il mondo degli "scienziati" e quello dei "letterati" - ma queste sue riflessioni sulla divisione internazionale delle conoscenze e del lavoro sono interessanti.

Snow - Discutere e pensare

Charles P. Snow: "Le due culture", rispampato da Marsilio, 2005, p. 66:

"Molte critiche meritano il mio rispetto. Ad esse non ho replicato punto per punto, giacché ho seguito una regola che mi sono sempre imposta anche in altre controversie.
Mi sembra che impegnarsi immediatamente in un dibattito su ogni punto particolare finisca col precludere per sempre ogni apertura mentale. Il fatto di discutere dà, alla maggior parte di noi, una soddisfazione psicologica molto maggiore di quella dataci dal pensare: ma ci toglie ogni possibilità di avvicinarci alla verità. Sembra meglio tenersi in disparte e lasciare riposare ciò che si è detto - non ho la pretesa di affermare che ciò sia del tutto facile - e in seguito, dopo un intervallo piuttosto lungo, avvantaggiato da ciò che ho ascoltato e dalle nuove conoscenze acquisite, vedere quali modifiche dovrei apportare [...]."

Magris - parlare di altri

"Fra il Danubio e il mare", p. 21:

"Credo che l'unico modo di parlare, di raccontare qualcosa della propria esperienza, sia parlare di altri. [...]. Borges parla di un pittore che descrive paesaggi - monti, fiumi, alberi - e alla fine si accorge di aver dipinto il proprio autoritratto, e non perché abbia deformato con prepotenza la realtà, ma perché il suo essere consiste proprio nel modo in cui egli guarda la realtà, in cui egli vive l'esperienza degli altri.
La nostra identità è il nostro modo di vedere le cose. Se mi si chiedesse di parlare di me, istintivamente comincerei a parlare di altre persone, dei miei genitori, della compagna della mia vita, dei miei figli, di persone amate, dei miei amici, delle mie amiche, di maestri, di paesaggi, di luoghi, magari anche di animali, certo non di me; persino di storie che sono capitate ad altri ma che si sono in qualche modo integrate nella mia. E attraverso il modo in cui io parlerei di altre cose, di altre persone, si potrebbe forse capire qualcosa della mia capacità o incapacità di amare, del mio coraggio, delle mie paure, delle mie ossessioni, delle mie fedi, dei miei disinganni."

domenica 13 agosto 2006

L'utilizzo del prodotto fa emergere nuovi requisiti

da "Mondo Digitale" anno V n° 2 - Giugno 2006 - articolo "La comunità virtuale degli esaminatori ECDL", di Daniela Maria Ricco, Giuseppe Giliberto, Giuliano Russo, pag.51:

"[...]l'uso di strumenti e le modalità di esecuzione dei compiti si influenzano a vicenda. Carroll e Campbell [Carroll J.M., Campbell R.L.: Artifacts a psycological theories: The case of human-computer interaction. In "Behaviour and Information Technology", 1989 - sic -] hanno messo in evidenza il carattere circolare della relazione artefatti-compiti (task-artifact cycle): le persone svolgono determinati compiti, con maggiore o minore soddisfazione, usando determinati strumenti. I nuovi strumenti, una volta adottati, alterano i compiti per cui vennero progettati e modificano le situazioni in cui i compiti venivano svolti in precedenza. In questo modo lo strumento nuovo crea un nuovo compito e una nuova situazione sociale in cui si svolge il compito. Questi ultimi generano poi a loro volta il bisogno di ulteriori miglioramenti che sarebbero possibili grazie ad una nuova famiglia di artefatti da inventare per svolgere meglio il nuovo compito e così via."

In "Communications of the ACM", June 2006, l'articolo "A Systematic Approach in Managing Post-Deployment System Changes", di David Kang e Roger Chiang, affronta l'argomento in modo più operativo, e fornisce indicazioni utili per un'implementazione organizzativa della gestione dei cambiamenti.

Mary Poppendieck insiste ripetutamente sull'esigenza di passare da una visione per progetti ad una visione di product development.

Claudio Magris - mare

da "Fra il Danubio e il mare - il mondo di Claudio Magris" Garzanti 2001, p. 28:

"Bisognerebbe essere come i bambini, che non fanno programmi; se corrono, non corrono per raggiungere qualche cosa, ma corrono per correre, perché loro piace correre.
Il mare è il simbolo di questo presente; quando uno guarda il mare e ascolta la risacca non vuole nessun'altra cosa; vuole esattamente quello che sta facendo in quel momento, nessuno può dargli niente di più."