Tommaso d'Aquino: Aemulatio (zelo) e invidia.
Aemulatio (zelo):"quando uno si rattrista per il fatto che non possiede quei beni che possiede il prossimo."
Invidia: "quando uno si rattrista per il fatto che il prossimo possiede dei beni, che egli non ha."
Tratto da Marco Revelli: "Poveri, noi", Einaudi 2010, p. 115.
Pagine
martedì 29 marzo 2011
giovedì 24 marzo 2011
Prima donna
In un articolo sulle aziende familiari italiane, su The Economist del 12 marzo 2011, si parla della difficoltà di introdurre in azienda manager competenti di provenienza esterna.
"The failure of many family bosses to play a team game - perhaps not surprising in a country where prima donna is a compliment, not an insult - can make things impossible for outside managers".
"The failure of many family bosses to play a team game - perhaps not surprising in a country where prima donna is a compliment, not an insult - can make things impossible for outside managers".
mercoledì 16 febbraio 2011
Come scrivere su un libro
Di Mortimer Adler (1902-2001), lo studioso che pubblicò l'elenco dei grandi libri, un'altra piccola perla: "How to Mark a Book" (1940).
L'inizio del saggio:
"You know you have to read "between the lines" to get the
most out of anything. I want to persuade you to do something
equally important in the course of your reading. I want to persuade
you to "write between the lines." Unless you do, you are not likely to
do the most efficient kind of reading.
I contend, quite bluntly, that marking up a book is not an act
of mutilation but of love.
You shouldn't mark up a book which isn't yours. Librarians
(or your friends) who lend you books expect you to keep them clean,
and you should. If you decide that I am right about the usefulness of
marking books, you will have to buy them. Most of the world's great
books are available today, in reprint editions, at less than a dollar.
There are two ways in which one can own a book. The first is
the property right you establish by paying for it, just as you pay for
clothes and furniture. But this act of purchase is only the prelude to
possession. Full ownership comes only when you have made it a part
of yourself, and the best way to make yourself a part of it is by
writing in it. An illustration may make the point clear. You buy a
beefsteak and transfer it from the butcher's icebox to your own. But
you do not own the beefsteak in the most important sense until you
consume it and get it into your bloodstream. I am arguing that books,
too, must be absorbed in your bloodstream to do you any good."
L'inizio del saggio:
"You know you have to read "between the lines" to get the
most out of anything. I want to persuade you to do something
equally important in the course of your reading. I want to persuade
you to "write between the lines." Unless you do, you are not likely to
do the most efficient kind of reading.
I contend, quite bluntly, that marking up a book is not an act
of mutilation but of love.
You shouldn't mark up a book which isn't yours. Librarians
(or your friends) who lend you books expect you to keep them clean,
and you should. If you decide that I am right about the usefulness of
marking books, you will have to buy them. Most of the world's great
books are available today, in reprint editions, at less than a dollar.
There are two ways in which one can own a book. The first is
the property right you establish by paying for it, just as you pay for
clothes and furniture. But this act of purchase is only the prelude to
possession. Full ownership comes only when you have made it a part
of yourself, and the best way to make yourself a part of it is by
writing in it. An illustration may make the point clear. You buy a
beefsteak and transfer it from the butcher's icebox to your own. But
you do not own the beefsteak in the most important sense until you
consume it and get it into your bloodstream. I am arguing that books,
too, must be absorbed in your bloodstream to do you any good."
martedì 8 febbraio 2011
Italia a gambero
Nell'ultimo decennio gli altri sono andati avanti, noi indietro.
(Immagine e articolo da The Economist.)
(Immagine e articolo da The Economist.)

domenica 2 gennaio 2011
Out of doom: una prospettiva ideologica
Tracciata da Mario Monti, fondata sul liberalismo come antidoto agli illusionismi del marxismo italico e di Berlusconi. E al qualunquismo.
Quasi ovvio, è la prospettiva seguita in tutti i paesi che funzionano. Da vedere se si possa trattare di una prospettiva concreta anche in Italia.
Quasi ovvio, è la prospettiva seguita in tutti i paesi che funzionano. Da vedere se si possa trattare di una prospettiva concreta anche in Italia.
sabato 1 gennaio 2011
Come al Sud negli anni '60
L'Italia nel suo complesso mi sembra essere nella medesima situazione del Sud Italia negli anni '60 del Novecento.
Arretratezza educativa e culturale, stagnazione economica, evasione fiscale sistematica, nessuna prospettiva di lavoro non legata a conoscenze personali, criminalità organizzata intrecciata ovunque, senso di responsabilità collettivo ed individuale assente, politica clientelare e pecoreccia, sistema dell'informazione drogato.
Dal Sud, negli anni '60, la prospettiva primaria per chi non fosse intrallazzato con i poteri leciti e illeciti era emigrare. Credo sia una prospettiva sempre più attuale anche adesso, ma anche al Centro-Nord.
La politica italiana, dagli anni '70 in poi, ha raggiunto il risultato di un'effettiva unificazione del Paese. Al livello più basso possibile.
Arretratezza educativa e culturale, stagnazione economica, evasione fiscale sistematica, nessuna prospettiva di lavoro non legata a conoscenze personali, criminalità organizzata intrecciata ovunque, senso di responsabilità collettivo ed individuale assente, politica clientelare e pecoreccia, sistema dell'informazione drogato.
Dal Sud, negli anni '60, la prospettiva primaria per chi non fosse intrallazzato con i poteri leciti e illeciti era emigrare. Credo sia una prospettiva sempre più attuale anche adesso, ma anche al Centro-Nord.
La politica italiana, dagli anni '70 in poi, ha raggiunto il risultato di un'effettiva unificazione del Paese. Al livello più basso possibile.
giovedì 30 dicembre 2010
Italia a fine 2010
Un articolo esemplare di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera di ieri.
Nella prima parte descrive la situazione attuale in termini realistici. Ad esempio:
"abbiamo un sistema d'istruzione dal rendimento assai basso; una burocrazia sia centrale che locale pletorica e inefficientissima; una giustizia tardigrada e approssimativa; una delinquenza organizzata che altrove non ha eguali; le nostre grandi città, con le periferie tra le più brutte del mondo, sono largamente invivibili e quasi sempre prive di trasporti urbani moderni (metropolitane); la rete stradale e autostradale è largamente inadeguata e quella ferroviaria, appena ci si allontana dall'Alta velocità, è da Terzo mondo; la rete degli acquedotti è un colabrodo; il nostro paesaggio è sconvolto da frane e alluvioni rovinose ad ogni pioggia intensa, mentre musei, siti archeologici e biblioteche versano in condizioni semplicemente penose. Per finire, tutto ciò che è pubblico, dai concorsi agli appalti, è preda di una corruzione capillare e indomabile. C'è poi la nostra condizione economica: abbiamo contemporaneamente le tasse e l'evasione fiscale fra le più alte d'Europa, mentre gli operai italiani ricevono salari ben più bassi della media dell'area-euro; il nostro sistema pensionistico è fra i più costosi d'Europa malgrado le numerose riforme già fatte e siamo strangolati da un debito pubblico il pagamento dei cui interessi c'impedisce d'intraprendere qualunque politica di sviluppo. Ancora: nessuno dall'estero viene a fare nuovi investimenti in Italia, ma gruppi stranieri mettono gli occhi (e sempre più spesso le mani) su quanto resta di meglio del nostro apparato economico-produttivo; nel frattempo il processo di deindustrializzazione non si arresta e la disoccupazione, specie giovanile, resta assai alta."
Nella seconda parte evita di prendere posizione sulle responsabilità. Mette in un unico calderone chi si oppone a questo stato di cose e chi lo nega, affermando che in Italia le cose vanno meglio che in altri paesi e che bisogna semplicemente essere più ottimisti:
"Chi dovrebbe parlare resta in silenzio. Resta in silenzio il discorso pubblico della società italiana su se stessa, consegnato ad una miseria che diviene ogni giorno meno sopportabile. Ma soprattutto resta in silenzio la politica, divisa tra lo sciropposo ottimismo di Berlusconi, il suo patetico «ghe pensi mi» da un lato, e la vacuità dei suoi oppositori dall'altro. Bersani, La Russa, Bossi, Fini, Bondi, Vendola, Verdini, Di Pietro, Casini, e chi più ne ha più ne metta credono di parlare al Paese con le loro dichiarazioni, le loro interviste, i loro attacchi a questo o a quello, i loro progetti di alleanze, di controalleanze e di governi: non sanno che in realtà se ne stanno guadagnando solo un disprezzo crescente, ne stanno solo accrescendo la distanza dal loro traballante palcoscenico. Sempre più, infatti, la loro produzione quotidiana di parole suona eguale a se stessa: ripetitiva, irreale, ridicola."
Fa anche un unico calderone della stampa italiana, accusata di costituire
"un sistema dell'informazione anch'esso perlopiù perduto dietro la chiacchiera, il «retroscena», il titolo orribilmente confidenziale su «Tonino» o «Gianfri», il mortifero articolo di «costume»."
Ma il "tutto va bene" di Berlusconi e dei suoi non ha la stessa valenza dei tentativi delle opposizioni di affrontare i problemi del paese. Le scelte dei vecchi alleati del centro destra come Casini e Fini di distanziarsi dall'allegro cavalcare il disastro italiano non sono scelte di comodo. Le opposizioni storiche non sono tutte uguali: non si può confrontare la serietà di Bersani con l'arrivismo individualistico e la scarsa onestà intellettuale di Di Pietro.
E non si può mettere insieme Belpietro e De Bortoli, Minzolini e la Gabanelli in un unico fascio. Farlo non è qualunquismo. E' evitare di dire tutta la verità. E chi evita di dire tutta la verità risulta complice.
Nella prima parte descrive la situazione attuale in termini realistici. Ad esempio:
"abbiamo un sistema d'istruzione dal rendimento assai basso; una burocrazia sia centrale che locale pletorica e inefficientissima; una giustizia tardigrada e approssimativa; una delinquenza organizzata che altrove non ha eguali; le nostre grandi città, con le periferie tra le più brutte del mondo, sono largamente invivibili e quasi sempre prive di trasporti urbani moderni (metropolitane); la rete stradale e autostradale è largamente inadeguata e quella ferroviaria, appena ci si allontana dall'Alta velocità, è da Terzo mondo; la rete degli acquedotti è un colabrodo; il nostro paesaggio è sconvolto da frane e alluvioni rovinose ad ogni pioggia intensa, mentre musei, siti archeologici e biblioteche versano in condizioni semplicemente penose. Per finire, tutto ciò che è pubblico, dai concorsi agli appalti, è preda di una corruzione capillare e indomabile. C'è poi la nostra condizione economica: abbiamo contemporaneamente le tasse e l'evasione fiscale fra le più alte d'Europa, mentre gli operai italiani ricevono salari ben più bassi della media dell'area-euro; il nostro sistema pensionistico è fra i più costosi d'Europa malgrado le numerose riforme già fatte e siamo strangolati da un debito pubblico il pagamento dei cui interessi c'impedisce d'intraprendere qualunque politica di sviluppo. Ancora: nessuno dall'estero viene a fare nuovi investimenti in Italia, ma gruppi stranieri mettono gli occhi (e sempre più spesso le mani) su quanto resta di meglio del nostro apparato economico-produttivo; nel frattempo il processo di deindustrializzazione non si arresta e la disoccupazione, specie giovanile, resta assai alta."
Nella seconda parte evita di prendere posizione sulle responsabilità. Mette in un unico calderone chi si oppone a questo stato di cose e chi lo nega, affermando che in Italia le cose vanno meglio che in altri paesi e che bisogna semplicemente essere più ottimisti:
"Chi dovrebbe parlare resta in silenzio. Resta in silenzio il discorso pubblico della società italiana su se stessa, consegnato ad una miseria che diviene ogni giorno meno sopportabile. Ma soprattutto resta in silenzio la politica, divisa tra lo sciropposo ottimismo di Berlusconi, il suo patetico «ghe pensi mi» da un lato, e la vacuità dei suoi oppositori dall'altro. Bersani, La Russa, Bossi, Fini, Bondi, Vendola, Verdini, Di Pietro, Casini, e chi più ne ha più ne metta credono di parlare al Paese con le loro dichiarazioni, le loro interviste, i loro attacchi a questo o a quello, i loro progetti di alleanze, di controalleanze e di governi: non sanno che in realtà se ne stanno guadagnando solo un disprezzo crescente, ne stanno solo accrescendo la distanza dal loro traballante palcoscenico. Sempre più, infatti, la loro produzione quotidiana di parole suona eguale a se stessa: ripetitiva, irreale, ridicola."
Fa anche un unico calderone della stampa italiana, accusata di costituire
"un sistema dell'informazione anch'esso perlopiù perduto dietro la chiacchiera, il «retroscena», il titolo orribilmente confidenziale su «Tonino» o «Gianfri», il mortifero articolo di «costume»."
Ma il "tutto va bene" di Berlusconi e dei suoi non ha la stessa valenza dei tentativi delle opposizioni di affrontare i problemi del paese. Le scelte dei vecchi alleati del centro destra come Casini e Fini di distanziarsi dall'allegro cavalcare il disastro italiano non sono scelte di comodo. Le opposizioni storiche non sono tutte uguali: non si può confrontare la serietà di Bersani con l'arrivismo individualistico e la scarsa onestà intellettuale di Di Pietro.
E non si può mettere insieme Belpietro e De Bortoli, Minzolini e la Gabanelli in un unico fascio. Farlo non è qualunquismo. E' evitare di dire tutta la verità. E chi evita di dire tutta la verità risulta complice.
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